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PIANTARE, ACCOGLIERE e SPIANTARE

Non credo che ci sia un periodo dell’anno, od un anno speciale in cui sulla terra ci siano più terremoti, alluvioni o eventi naturali a carattere disastroso. Il nostro pianeta ci sta dicendo, ma lo dice da sempre, che di stabile non c’è niente. Anche la “terra ferma” tanto ferma non è visto che i continenti si avvicinano e si allontanano tra loro. Certo è che l’uomo con le sue attività rende ancora più instabile il fragile equilibrio della nostra terra.
Non voglio dilettarmi in ecologia, neanche lo saprei fare, ma fare solo qualche considerazione su questa nostra umanità che, tra tante incertezze e fragilità, sembra considerare se stessa più stabile di tutto. Basta vedere come costruiamo le nostre città, come usiamo le “materie prime”, come trattiamo l’aria che respiriamo. Ci sentiamo in qualche modo dei padroni, se non proprio dell’universo, almeno di casa propria.
È anche interessante come ci siamo organizzati come società che chiede ad ogni cittadino di “fissare” una residenza e guarda con diffidenza i “senza-fissa-dimora”. Tutto, o quasi, diritti e doveri, è legato alla residenza: l’assistenza sanitaria, l’espressione del voto, la scuola, la proprietà, ecc.
Anche la Chiesa si è strutturata su base territoriale: Vescovo, Diocesi, parrocchie; ognuno con propri confini e competenze.
Questa forte radicalizzazione dell’uomo su di un territorio ha provocato disastri immani nel corso della storia, basta pensare alle tante guerre che da millenni dividono l’umanità perché ciascuno difende i propri confini o cerca di allargarsi oltrepassandoli. È una storia infinita che fa guardare con diffidenza l’intruso, lo straniero, il diverso, coloro che sembrano destabilizzare le nostre tranquille sicurezze.
Poi, all’improvviso, arriva un nubifragio, o un tifone, o un’onda anomala, o un terremoto che in un attimo sconquassa tutto e spazza via le nostre sicurezze lasciando solo lutti e paure. La natura ci avvisa che non siamo così stabili come pensiamo, al mondo siamo tutti provvisori e ciò che ritengo mio non è destinato ad esserlo per sempre.
Arrivo al Circo ed al Lunapark. Da sempre si dice che hanno la funzione sociale di portare alla gente serenità e buonumore; hanno la capacità di aggregare persone di ogni tipo per un momento positivo; portano avanti una tradizione ultracentenaria che fa parte della nostra cultura.
Forse possiamo riconoscergli anche un’altra funzione sociale non troppo evidente: quella di piantare, accogliere e spiantare.
L’à dove prima non c’era nulla sorge quasi una città di persone e cose, una città aperta dove tutti, indistintamente, sono ospiti desiderati, accolti, graditi. È vero che c’è un interesse economico dietro questa ospitalità, ma non mi sento di dover ridurre tutto a mera mercificazione, se il denaro fosse l’unico motore molti si sarebbero fermati da tanto tempo.
Poi il tutto è smontato per essere portato altrove. C’è nella vita dei fieranti e circensi una sorta di profezia, di segnale agli altri esseri umani: tutti siamo chiamati a piantare e spiantare, nessuno è definitivo, la terra che ci accoglie non è nostra esclusiva proprietà, l’unica cosa necessaria per vivere è saperci accogliere.

EDITORIALE In Cammino 2009-3/4